Il fico ha radici antiche
Nel Vecchio Testamento lo si fa risalire come l’albero del peccato originale, del frutto proibito da Dio all’uomo nella valle dell’Eden. Non la mela dunque ma il fico anche perché e’ l’albero che ha una sua logica, considerato che il signor Adamo e la signora Eva si ricoprono le parti intime con una foglia staccata dall’albero vicino quando si accorgono di essere nudi, , albero presente accanto a loro, a portata di mano, quindi il fico.
Se poi consideriamo che in botanica il frutto del fico nasconde anche l’inganno, ossia quello che comunemente viene ritenuto il frutto del fico è in realtà una grossa infruttescenza, un insieme di frutti, di colore variabile dal verde al rossiccio fino al bluastro-violaceo, con una cavità carnosa dove all’interno ci sono i veri frutti, molto piccoli, chiamati in botanica acheni, si esplica ancora meglio il perché, in seguito , sia stato bandito come frutto dell’albero che induce alla trasgressione.
Con questo doppio inganno, il primo quello dei nostri antichi progenitori Adamo ed Eva ed il secondo che si presenta come un frutto dove gli umori e i sapori vanno raccolti in profondità, può mai il fico diventare esplicitamente il frutto del peccato originale? No, meglio presentare come frutto del peccato un frutto normale, tondo, che non evoca nulla di lussurioso, la mela!
Così con molta probabilità, i censori, scrittori della Storia dell’umanità, riportarono l’albero del peccato dal fico al melo. Ma nell’immaginario collettivo il frutto che rimane godurioso, alla portata di tutti perché si può raccogliere facilmente, sicuramente molto peccaminoso, resta il fico o il suo appellativo al femminile che ha rappresentato per millenni, anche per la sua fisiologia estetica, il sesso femminile.
Nell’Antica Grecia il fico era considerato un albero sacro in quanto albero antico, pianta sacra al dio Dioniso, a cui attribuirono la nascita dell’albero, protagonista di molti racconti e di riti spesso a carattere erotico. Omero (c.a.VIII secolo a.C.) scrive che il ciclope Polifemo produceva formaggi nella sua grotta, utilizzando succo di fico per far cagliare il latte.
Caglio naturale, inviso ai vegetariani, usato per produrre formaggi che ritroviamo nel V sec. a.C. dove il medico greco Ippocrate ( 460 a.C. 377 a.C) lo cita nei suoi scritti e pone come alternativa, a quello di fichi, il caglio animale. Per la voracità nel mangiare i fichi uno dei più convinti estimatori a cui venne attribuito il soprannome di “mangiatore di fichi” fu il filosofo greco Platone (428 a.C. – 347 a.C.) il quale raccomandava agli amici di mangiarne in quantità perché, a suo dire, rinvigoriva l’intelligenza.
Il suo discepolo Aristotele (383 a.C. 322 A. ) documenta la tecnica della coagulazione del latte con il succo di fico, cosi come anche lo stoico Zenone di Cizio (335 a.C. – 263 a.C.) era considerato un altro grande estimatore di fichi. I Greci, grande popolo colto e pieno di cultura! Ma non di meno erano gli antichi Romani che attraverso Gaio Plinio (23 d.C. -25 agosto 79 d.C.) raccomandavano di mangiare i fichi perché sembra che “aumentasse la forza dei giovani, migliorasse la salute dei vecchi e che addirittura avesse l’effetto di ridurre le rughe.” I fichi erano un alimento amato da atleti e convalescenti, grazie all’apporto calorico e alla facile digeribilità. I Romani ne erano particolarmente ghiotti. All’epoca, era abitudine per il popolo mangiare i fichi come antipasto, insaporiti con sale e aceto mentre le classi più agiate preferivano gustare i fichi con il garum.
Il poeta Publio Ovidio Nasone (43 a.C. -18 d.C.), offriva i fichi con il miele nella notte di capodanno come segno di augurio.
Così anche per i Romani sedotti dal fico, questa pianta diventa sacra come l’ulivo e la vite.
Nel Medioevo al fico viene attribuito anche proprietà taumaturgica come lenitive di punture di insetti e di verruche, oltre che di risveglio sessuale dove secondo la medicina popolare, due giovani sterili potevano ricorrere allo stratagemma di staccare due foglie di fico dall’albero, metterle sotto il cuscino, convinti che questo metodo potesse influenzare benevolmente la procreazione.
Nel mentre la scuola medica salernitana asseriva che “Veneremque vocat, sed cuilibet obstat”, il fico “provoca lo stimolo venereo anche a chi vi si oppone”!
Che figata il fico!
Una curiosità:
Il georgofilo Antonio Targioni Tozzetti nel suo Corso di Botanica medico-farmaceutica (Firenze, 1847): consiglia che “… seccati che siano i fichi, oltre il servir di cibo, il popolo gli adopra per farne un decotto con giuggiole ed altri frutti secchi, come medicamento espettorante nelle bronchiti, nelle tossi … Riescono lassativi, ed entrano in certe composizioni purgative dei vecchi ricettarj. Usavansi in cataplasma per applicarsi sulle ulceri e piaghe di vario genere, e ciò fin da antico tempo … il latte di fico posto subito sulle punture dei ragni ne impedisce i cattivi effetti. I rami e le foglie dei fichi, se si incidono, gemono un sugo latteo caustico e di sapore piccante, il quale è impiegato a corrodere le verruche e le escrescenze della pelle.”
a cura di Federico Valicenti