In una degustazione di diverse annate dello stesso vino ogni bicchiere diventa metro di misura per il successivo, sommando o sottraendo dall’uno all’altro il clima, la piovosità, il trascorrere del tempo, il lavoro a cielo aperto e quello in cantina.
Tempo che immagino come la “voce” fuori campo di una quadriglia, e che nel vino avrà il compito di guidare aromi di ieri e di oggi, materia e colore, ruvidezze e carezzevolezze, calore e freschezza, per darci spettacolo e gioia, quando si parte da una solida base.
E proprio questo confrontare un bicchiere con l’altro che la verticale è sempre borderline tra soggettività ed oggettivtà.
La verticale è l’unico sistema che io conosca di guardare indietro al tempo passato senza diventar tristi.
La verticale è la metafora che ci “beviamo”, per raccontarci che il tempo che passa ci rende più affascinanti.
Ma la verticale quando casca in piedi, ci ricompensa con le evoluzioni della vecchiaia, col sottile piacere di trarre conclusioni sulle differenze, con l’andare a ritroso tra gli anni
Mentre la singola bottiglia trova l’ambiente più adatto, più consono, in una ortodossa oggettività degustativa, pur tutta via ench’essa con i suoi (eventuali) dati pedoclimatici.
Nel caso specifico, cioè una verticale a suon di “Braci” che attraversa ben 13 anni, (2000/2001/2003/2004/2006 degustati nel 2012), Lui, il Tempo, non ha sottratto nulla, anzi ed in alcune bottiglie è ancora in divenire.
Certo, colpisce l’uniformità di colore, ma le personalità delle diverse annate sono tutt’altro che collettive, ognuna riserva più d’una variazione sul tema negroamaro e appassimento senza mai in nessuna bottiglia trovare la che minima impressione di dolcezze innoportune o residuali.
Nota comune, forse un legno che ha bisogno di essere attentamete cercato tra pieghe più nascoste del sorso, tanto è discreto.
Per il resto tutti avevano bellezza e piacevolezza ed eleganza a … “profusione” (cit. Gastone/Ettore Petrolini), ma per maggiori dettagli vi rimando su http://www.lucianopignataro.it/a/verticale-le-braci-2000-2006-il-grande-negroamaro-di-masseria-monaci-in-vetrina-al-botrus/53558/
Ma tornado in un’ottica di soggettività – la mia – può accadere che, in una verticale, con un vino più di altri la si smetta di essere (o immaginar di esserlo) degustatori e nasce un empatia, e mentre bevevo il 2003 mi è tornato in mente il motivo: “ma il vino spara fulmini e barbariche orazioni che fan sentire il gusto delle alte perfezioni”(cit: Cuanta Pasiòn, by P.Conte).
Questo niuru maru porpora, cupo e profondo, con un cerchio violaceo sottile, si fa lo stesso attraversare con discrezione dalla luce.
Il naso deve inseguire e godere tutte le variazioni, tanto è mutevole nel tempo, da riservato diventa più eloquente, sboccia con la stessa sensazione olfattiva di una piccola rosa bagnata, poi segue man mano con della gran frutta matura rossa, e frutta ancor più scura, nera. Poi ciliege sottospirito rosse, vivide (non quelle marroni ed ossidate). Spezie e note balsamiche in tono fine e un accenno tanto fascinoso quanto tenue di humus.
Nel sorso appaga con sostanza, dai due mari ha ereditato una garbata sapidità, ed ancora frutta rossa e frutta matura che si trasformano in una sensazione tattile di panno morbito e caldo che si allunga e corre controllato dalla presenza di una vivida freschezza.
Intense ed eleganti le sensazioni. Un tannico rotondo e poi leggere speziature.
Tutto ben bilanciato, chiude il sorso con una nota leggermente ammaricante.
Insomma piacere, eleganza, senza fronzoli o eccessi, un aplomb nobiliare fatto di un lontano salento, campi di tabacco ed antiche eleganti dimore.
di Giuseppe Barretta